13 – San Giuseppe nella Catechesi
Il Catechismo della Chiesa Cattolica dedica una giusta attenzione alla figura e alla missione di san Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa, considerando il suo ruolo nei misteri della vita nascosta di Gesù. Il mistero dell’incarnazione e quello della redenzione che gli è congiunto includono talmente questo “ministro della salvezza”, San Giuseppe, da esigere la sua appartenenza all’ “0rdine dell’unione ipostatica”. Una catechesi che continui ad ignorare questo suo ruolo si riflette negativamente nei misteri che vi sono congiunti, ossia la Cristologia, e nella pastorale della famiglia, che stenta ancora a indicare chiaramente in lui la figura dello “sposo” e del “padre”.
Il Meeting Point “Redemptoris Custos”, promosso dal Movimento Giuseppino per la conoscenza e la diffusione della teologia “giuseppina”, ha dato inizio ed impulso ad una nuova iconografia, ammirata nei quadri di F. Verri, esposti nel Centro stesso e nel Santuario di san Giuseppe (Asti), come pure nella chiesa parrocchiale di San Giuseppe, a Priaruggia (Genova). Alla catechesi sono direttamente destinati i quadri di N. Musio, realizzati dalla Elle.Di.Ci. secondo questa nuova linea teologica; essi vengono qui riprodotti accompagnati da una chiara spiegazione, che ha lo scopo di aiutare a scoprire il ruolo di san Giuseppe nella storia della salvezza. Si tratta dei “misteri della vita nascosta di Gesù”, sorvolati o sottovalutati proprio nella misura in cui si trascura la presenza e il ruolo in essi avuto da san Giuseppe. Il suo ministero, infatti, strettamente connesso con la sua unione coniugale con Maria, è indispensabile nel mistero dell’Incarnazione a motivo del ruolo “paterno”, che lo costituisce “ordinatore della nascita di Gesù”, con il preciso compito di inserire il Figlio di Dio nel mondo nel rispetto delle disposizioni divine e delle leggi umane. Questa “catechesi” segue fedelmente l’Esortazione apostolica “Il Custode del Redentore” (= RC) di Giovanni Paolo II. Continuare ad ignorarla, ripetendo pigramente che “di san Giuseppe non sappiamo niente”, significa ignorare i Vangeli stessi, che, invece, ne contengono “la lode”, come scriveva san Bernardo molti secoli fa.
1. San Giuseppe, il Custode del Redentore
Gesù era conosciuto tra la sua gente come “il figlio di Giuseppe da Nazaret” (Giovanni 1,45). Noi crediamo e professiamo con certezza che Gesù è il Figlio di Dio, ma sappiamo anche dai Vangeli che Gesù ha voluto onorare san Giuseppe con il titolo di padre; egli ha voluto essere considerato durante la sua vita terrena come il figlio di Giuseppe: “Gesù, quando cominciò il suo ministero, aveva circa trent’anni ed era figlio, come si riteneva, di Giuseppe” (Luca 3,23). Doveva, dunque, essere un uomo “straordinario” questo Giuseppe, se Dio lo ha scelto per essere lo sposo di Maria e per fare da padre a Gesù.
2. Giuseppe con il bastone fiorito in mano
Incontriamo Giuseppe a Nazaret, un paese della Galilea. È un bel giovane, appartenente alla nobile tribù di Giuda e discendente dalla famiglia del re Davide (cf. Luca 2,4). Sia la tribù che la famiglia di origine avevano avuto nel passato una parte molto importante nella storia d’Israele. Ora però Giuseppe fa il falegname e si guadagna onestamente da vivere con il lavoro delle proprie mani. Tutti lo conoscono come un “uomo giusto”. Il bastone fiorito, che gli artisti gli mettono in mano, sta a significare, secondo un’antica leggenda ricalcata sul racconto della divina elezione di Aronne per il servizio del Tabernacolo (cf. Numeri 17, 16-26), che egli era stato prescelto da Dio per un incarico del tutto singolare. Quale?
3. Giuseppe e Maria sposi
La missione per la quale Giuseppe è stato prescelto da Dio è quella di essere Il Custode del Redentore, ossia di Gesù. Il Figlio di Dio, infatti, facendosi uomo ha voluto nascere come tutti noi in una famiglia, per esservi accolto ed educato. Interiormente preparato e guidato dallo Spirito Santo, Giuseppe riconosce in Maria la sua anima gemella e la sposa. Dio, che forma nel modo più perfetto ogni amore umano, certamente ha concesso al cuore di Giuseppe una sensibilità del tutto particolare agli impulsi dello Spirito Santo, che “ha rigenerato il suo amore d’uomo” (RC, n. 19). Essi formano la coppia più santa di tutta la terra.
“Mentre la coppia di Adamo ed Eva era stata sorgente del male che ha inondato il mondo, quella di Giuseppe e Maria costituisce il vertice, dal quale la santità si espande su tutta la terra. Il Salvatore ha iniziato l’opera della salvezza con questa unione verginale e santa, nella quale si manifesta la sua onnipotente volontà di purificare e santificare la famiglia, questo santuario dell’amore e questa culla della vita” (RC, n. 7). Per questo molti cristiani celebrano la festa dei Santi Sposi, il 23 gennaio.
4. L’annunciazione
Contratto il matrimonio, voluto e preparato dall’Amore divino per accogliere il Figlio di Dio fatto uomo, l’angelo Gabriele comunica a Maria, la vergine sposa di Giuseppe, che proprio lei è la donna tra tutte prescelta per essere la madre di Gesù. Maria accetta con gioia: “Ecco la serva del Signore. Avvenga di me secondo la tua parola!” (Luca 1,38). In quel momento il Figlio di Dio diventa vero uomo. È questo il mistero dell’incarnazione del Verbo, l’avvenimento più grande che si possa immaginare.
Maria accetta la divina maternità con tutto quello slancio e quella totale disponibilità verso la volontà di Dio, che le proveniva dal suo stato di “Immacolata Concezione”. Ma poiché la verginità della sposa richiede il consenso dello sposo, ne segue che la consacrazione di Maria, contenuta nella sua affermazione “io non conosco uomo” (Luca 1,14), va necessariamente congiunta a un simile atteggiamento da parte di Giuseppe. L’affinità spirituale dei due sposi è tale che, se Maria accetta la divina maternità senza chiedere esplicitamente il consenso di Giuseppe, è perché è consapevole che è profondo desiderio di Giuseppe che la volontà di Dio abbia il primato assoluto nella loro vita. Maria sa che tutto l’amore di Giuseppe verso di lei è secondo Dio e che, quindi, poteva liberamente disporne al servizio di Dio.
5. Giuseppe e Maria parlano insieme
Maria è la prima creatura in terra alla quale è stato dato l’annuncio della salvezza dell’umanità. La pietà dei fedeli ha espresso questo privilegio, definendo Maria l’“Annunziata”.
E’ naturale pensare che Maria, l’Annunziata, sia stata anche la prima annunciatrice della “Buona Novella” (questo è il Vangelo!) e ne abbia reso partecipe per primo la persona più amata, ossia san Giuseppe, il quale, oltre tutto, essendo il suo vero sposo, è la persona non solo più interessata, ma anche più coinvolta nel mistero della sua maternità. Purtroppo una triste interpretazione del racconto di Matteo 1, 18-25 ha imposto a Maria il silenzio, costringendo san Giuseppe ad arrivare faticosamente alla conoscenza del mistero dopo tormentosi sospetti. Ci si chiede, tuttavia, come tale diffusa ipotesi sia conciliabile con la personificazione di Maria come “Figlia di Sion”, invitata dall’angelo alla “gioia” (Luca 1,28) per la venuta del tanto atteso Redentore. Come avrebbe potuto proprio lei, l’Annunziata, di fronte ad un avvenimento che richiede la sua immediata proclamazione, chiudersi in un muto silenzio, comunque lo si voglia spiegare?
Non togliamo a Maria la gioia e la gloria di essere stata la prima evangelizzatrice e non togliamo a Giuseppe il diritto e il privilegio di essere stato il primo evangelizzato! Giovanni Paolo II afferma chiaramente nell’Esortazione apostolica “Redemptoris Custos”: “Di questo mistero divino Giuseppe è insieme con Maria il primo depositario. Insieme con Maria – ed anche in relazione a Maria – egli partecipa a questa fase culminante dell’autorivelazione di Dio in Cristo, e vi partecipa fin dal primo inizio. Tenendo sotto gli occhi il testo di entrambi gli evangelisti Matteo e Luca, si può anche dire che Giuseppe è il primo a partecipare alla fede della Madre di Dio, e che, così facendo, sostiene la sua sposa nella fede della divina annunciazione” (n. 5). Come già Mosè anche Giuseppe sa bene di trovarsi di fronte al “roveto ardente” : “Non avvicinarti oltre!” (Esodo 3,5).
6. Giuseppe deve prendere una decisione
Qual è, perciò, il problema di Giuseppe, escluso il dubbio sulla fedeltà coniugale di Maria, originato appunto dal suo presupposto silenzio? È facile comprendere che Giuseppe di fronte al “mistero di Dio” presente nella sua casa si sia trovato in una situazione assolutamente nuova, senza precedenti. La sua grande sensibilità religiosa, il suo profondo rispetto per la maestà di Dio lo pongono di fronte a gravi pensieri. Come tenere ancora per sé Maria, sempre sua legittima sposa, ma avvolta ora dalla “santità” di Dio, sottratta, quindi, all’uomo per appartenere esclusivamente a lui? Come dare il proprio nome al Bambino, quando nascerà, riconoscendolo così come proprio, mentre invece è opera dello Spirito Santo? Come può l’uomo osare di intromettersi nelle cose di Dio? Così Giuseppe, uomo “giusto”, ossia pieno di rispetto per la singolare azione divina, decide segretamente di ritirarsi. Di fronte all’intervento di Dio, appunto come già Mosè davanti al roveto ardente, Giuseppe rispetta la santità della sua presenza e consente a Maria di essere totalmente disponibile al progetto di Dio su di lei. I diritti di Dio hanno la precedenza assoluta.
7. Il sogno di Giuseppe
La decisione è presa, anche se con grande sofferenza di Giuseppe, che ama sinceramente Maria. E’ proprio il “perfetto” amore, infatti, che lo spinge al penoso distacco dalla sposa, per consentirle di realizzare il progetto che Dio ha su di lei. A questo punto interviene in sogno l’angelo del Signore, che gli rivela la sua sublime vocazione: egli non deve allontanarsi, ma continuerà a tenere con sé la sua sposa e darà al bambino il nome di Gesù. Giuseppe è così chiamato da Dio a fare da padre a Gesù. È la vocazione più grande che si possa immaginare, dopo quella di Maria, perché la paternità è la “relazione che lo colloca il più vicino possibile a Cristo, termine di ogni elezione e predestinazione (cf. Romani 8,28s.)” (RC, n. 7). Anche se Maria dovrà continuare a vivere come “una vergine, sposa di uno sposo” (cf. Luca 1,27; Matteo 1,25), il legame sponsale va conservato, perché era avvenuto per volontà di Dio. A Giuseppe sono affidati i compiti di un padre terreno nei riguardi del figlio di Maria: lo accoglierà, dandogli il nome, e lo educherà.
8. La genealogia di Gesù
Nell’Esortazione apostolica “Redemptoris Custos” Giovanni Paolo II sottolinea che “se è importante per la Chiesa professare il concepimento verginale di Gesù, non è meno importante difendere il matrimonio di Maria con Giuseppe, perché giuridicamente è da esso che dipende la paternità di Giuseppe” (n. 7).
Proprio sulla base del vero matrimonio tra Maria e Giuseppe, gli evangelisti non esitano ad elencare le generazioni secondo la genealogia di Giuseppe, pur sapendo che egli non ha generato Gesù. Secondo la promessa di Dio fatta a Davide per mezzo del profeta Natan (cf. 2 Samuele 7), il Messia o Cristo sarebbe stato un suo discendente. Matteo ne mostra l’adempimento iniziando il suo Vangelo con la genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo, e fermandosi a Giuseppe (1, 16), chiamato solennemente dall’angelo con il titolo “figlio di Davide” (v. 20). Quale vero sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, Giuseppe è di fronte alla legge il padre del Bambino, a tutti gli effetti suo figlio e, quindi, partecipe del titolo davidico, indispensabile per il riconoscimento della messianicità. La “genealogia” era gelosamente conservata e tramandata in ogni famiglia; lo vediamo nel vangelo di Matteo, ma anche in quello di Luca, che riporta il racconto del censimento a Betlemme, il luogo di origine di Davide.
9. La nascita di Gesù
«Chiamato a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della paternità, Giuseppe coopera in tale modo nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente “ministro della salvezza”» (RC, n. 8).
Giuseppe mette, dunque, Gesù a contatto con luoghi, persone e riti, eseguendo quanto era prestabilito da Dio nel disegno dell’incarnazione e della redenzione. La prima tappa è Betlemme. Là, infatti, deve nascere il Messia, “il capo, che pascerà il mio popolo, Israele”, secondo le parole del profeta Michea (5,1; Matteo 2,5s). Giuseppe è insieme con Maria testimone privilegiato della venuta del Figlio di Dio nel mondo; egli è il primo con Maria a vedere, sentire, toccare ed accogliere il Verbo di Dio fatto uomo. Giuseppe è nello stesso tempo testimone dell’adorazione dei pastori (Luca 2,16), rappresentanti del popolo, Israele, che Gesù è venuto a salvare (Matteo 1,21; Luca 2,11).
10. Il censimento
Anche se la redenzione raggiunge il suo vertice nel mistero pasquale, non si deve dimenticare che tutta la vita di Gesù è redentrice, dall’incarnazione all’invio dello Spirito Santo.
I capitoli 1 e 2 di Matteo e di Luca sono denominati “Vangeli dell’infanzia”, ma in realtà abbracciano il periodo più lungo della vita terrena di Gesù, ossia i trent’anni che vanno dal concepimento al battesimo (cf. Luca 3,23). La loro singolare importanza nella Chiesa apostolica è dovuta al fatto che in essi vengono sottolineate quelle azioni di Gesù, che hanno un particolare significato salvifico e nelle quali Giuseppe è stato il necessario “ministro” a motivo della condizione umana di Gesù.
L’esortazione apostolica “Redemptoris Custos” evidenzia il censimento, la circoncisione, l’imposizione del nome, la presentazione al tempio, la fuga in Egitto, la permanenza nel tempio, il sostentamento e l’educazione di Gesù a Nazaret.
Qual è dunque il valore salvifico di queste “azioni” di Gesù, nelle quali Giuseppe è stato ministro?
Cominciamo dal censimento. Un decreto di Cesare Augusto, che ordina il censimento di tutta la terra, è il motivo che fa salire Giuseppe, della casa e della famiglia di Davide, da Nazaret, in Galilea, a Betlemme, in Giudea, con Maria sua sposa, che è incinta. La Provvidenza ha disposto tutto questo, affinché Gesù, il Messia, nasca a Betlemme, la città di Davide, e là Giuseppe registri ufficialmente il Figlio di Dio incarnato nell’anagrafe dell’Impero come proprio figlio: “Gesù, figlio di Giuseppe”. Gesù è ora giuridicamente riconosciuto cittadino del mondo, vero uomo fra gli uomini, dei quali ha assunto l’umanità per donare loro la sua divinità. Il “mistero” consiste proprio nella solidarietà tra Dio e l’uomo, che si instaura nell’incarnazione del Verbo.
11. La circoncisione
Ogni bambino ebreo veniva circonciso l’ottavo giorno dalla sua nascita. La circoncisione è il segno dell’Alleanza, conclusa da Dio con Abramo (Genesi 17, 13); chi riceve quel segno entra a far parte del popolo di Dio. Tocca al padre provvedere a questo primo dovere religioso, che nel caso di Gesù assume una singolare importanza, perché è lui la nuova ed eterna alleanza, che rinnova e sostituisce l’antica, distrutta dalle infedeltà di Israele.
12. L’imposizione del nome
In occasione della circoncisione, Giuseppe impone al bambino il nome di Gesù. Con questo atto Giuseppe dichiara la propria legale paternità su Gesù: “Non è la sua una paternità derivante dalla generazione; eppure essa non è ‘apparente’, o soltanto ‘sostitutiva’, ma possiede in pieno l’autenticità della paternità umana, della missione paterna nella famiglia” (RC, n. 21).
Imponendo il nome Gesù ( = Dio salva) al bambino, Giuseppe è il primo a proclamare ufficialmente al mondo la Buona Novella, ossia la presenza del Salvatore: Gesù è proprio colui che salva il suo popolo dai suoi peccati (Matteo 1,21; Atti 4,12). Si tratta del Nome, davanti al quale deve inginocchiarsi ogni altro nome (Filippesi 2, 10).
13. La presentazione di Gesù al tempio
Il primogenito rappresenta il popolo dell’alleanza, ossia il popolo che appartiene a Dio, perché Dio lo ha riscattato dalla schiavitù dell’Egitto. Israele è possesso di Dio e a lui deve prestare servizio. La successiva assegnazione di tale compito ai Leviti, per sostituire i primogeniti, introdusse il riscatto dei primogeniti, altro grave dovere del padre.
Luca sottolinea che Gesù “fu offerto al Signore” (2,22), ma di proposito omette ogni accenno al suo riscatto (da non confondere con le due colombe, che riguardano la purificazione della madre!), certamente pagato da Giuseppe, essendo Gesù il primogenito che apparterrà per sempre al Signore e riscatterà tutti gli uomini con il prezzo del suo sangue.
14. La visita dei magi
Con la visita dei pastori, Gesù aveva ricevuto l’omaggio del suo popolo, Israele; la visita dei magi, che vengono a cercare dall’Oriente il neonato re dei Giudei per adorarlo, vuole significare che la salvezza non è solo per le pecore sperdute della casa di Israele, ma anche per ogni uomo, a qualunque popolo appartenga (cf. Atti 10,35).
Giuseppe è testimone del ruolo centrale che occupano “Gesù e sua madre” nel piano di Dio per la salvezza.
15. La famiglia di Giuseppe ritorna dall’esilio in Egitto
Nel piano della salvezza la strada che conduce Gesù da Betlemme a Nazaret deve passare per l’Egitto. Come per Betlemme Dio si era servito del censimento, così ora si serve della gelosia di Erode, che teme per il suo regno, per costringere Giuseppe a fuggire con tutta la famiglia in Egitto.
Matteo (2,14s) sottolineando soprattutto il ritorno con la parola del Profeta Osea, “dall’Egitto ho chiamato mio figlio” (11,1), mostra l’efficacia salvifica di tale ritorno: Dio ha realizzato nella persona di Gesù la liberazione definitiva dalla schiavitù del peccato, prefigurata dalla schiavitù dell’Egitto.
16. La S. Famiglia si stabilisce a Nazaret
Betlemme è la città di Davide, dalla quale deve uscire il capo che pascerà Israele; la Galilea, al contrario, è la regione dalla quale non sorge profeta (cf. Giovanni 7, 52). La liberazione definitiva dalla schiavitù avverrà in Giudea, con la morte e la risurrezione di Gesù, ma intanto dovranno trascorrere molti anni, prima che Gesù, verso il trentesimo anno di età, si manifesti al Giordano.
Nazaret, nella Galilea, è stato il luogo scelto da Dio per nascondere, all’ombra di Giuseppe, la gloria di Gesù, affinché egli, crescendo in “sapienza, età e grazia” (Luca 2, 52), vivesse tutte le tappe della vita umana e santificasse la vita quotidiana in tutte le sue espressioni.
17. Giuseppe padre che educa
Riguardo alla vita umana, la natura non intende solo la generazione della prole, ma il suo sviluppo e la sua promozione fino allo stato perfetto dell’uomo. Giuseppe esercita la sua funzione di padre verso Gesù, generato per opera dello Spirito Santo, nutrendolo, difendendolo e istruendolo.
La natura umana di Gesù non cresce solo in età, ma si perfeziona anche nei beni sia interiori che esteriori alla scuola del padre, responsabile dell’educazione della prole. Di qui la meritata qualifica di San Giuseppe “modello degli educatori”.
18. Gesù dodicenne rimane nel tempio a Gerusalemme
In tutto il lungo periodo di “nascondimento” a Nazaret, Gesù si manifesta in pubblico solo una volta, all’età di dodici anni, quando rimane a Gerusalemme nel tempio, all’insaputa dei suoi genitori. Gesù comprende il loro grande dolore, ma si giustifica anteponendo il suo dovere di occuparsi delle cose del Padre suo.
Questo episodio rinnova nel cuore di Giuseppe la consapevolezza di essere solo il “depositario” di quel bambino, che lui stesso aveva “presentato come offerta” all’eterno Padre, al quale totalmente appartiene (RC, n. 15).
19. Giuseppe avvicina Gesù al lavoro
“Nella crescita umana di Gesù ‘in sapienza, età e grazia’ ha una parte notevole la virtù della laboriosità” (RC, n. 23), essendo il lavoro un fattore importante dello sviluppo personale e sociale.
Poiché il mistero dell’incarnazione doveva assumere il lavoro per redimerlo, Giuseppe è colui che, insegnando il proprio mestiere a Gesù e lavorando allo stesso banco nella bottega di Nazaret insieme con lui, «avvicina il lavoro umano al mistero della redenzione» (RC, n. 22).
I lavoratori hanno un particolare titolo e diritto per rivolgersi a San Giuseppe.
20. Giuseppe uomo della preghiera e della contemplazione
La comunione di vita e di lavoro di san Giuseppe con Gesù, in contatto diretto con la sua umanità, che è strumento di santificazione; l’amore «paterno» di Giuseppe, contraccambiato dall’amore «filiale» di Gesù, suppongono ed esigono che san Giuseppe possegga la perfezione della carità.
Le anime più sensibili agli impulsi dell’amore divino hanno sempre visto a ragione in san Giuseppe un luminoso esempio e un grande maestro di vita interiore.
21. La famiglia di Nazaret
Assumendo con l’incarnazione l’umanità, Gesù assume «tutto ciò che è umano e, in particolare, la famiglia, quale prima dimensione della sua esistenza in terra» (RC, n. 21).
Gesù vuole, infatti, purificare e santificare la famiglia, perché sia il riflesso vivo dell’amore trinitario e il sacramento dell’amore di Cristo per la Chiesa sua Sposa.
Per questo la Chiesa circonda di venerazione questa famiglia, trinità terrestre, e la propone quale modello a tutte le famiglie.
22. La morte di Giuseppe
Fin dai primi secoli la pietà dei fedeli ha considerato la felice sorte toccata a san Giuseppe di essere assistito al momento della sua morte dalla presenza amorosa di Gesù e di Maria. È spontanea in tutto il popolo cristiano, l’invocazione a san Giuseppe, perché ci ottenga la grazia di poter piamente morire, confortati dal suo esempio e dalla sua intercessione.
23. Giuseppe patrono della Chiesa
Pio IX proclama nel 1870 san Giuseppe patrono della Chiesa universale, per essere egli stato legittimo e naturale custode, capo e difensore della divina Famiglia.
È conveniente e degno di san Giuseppe che come ha santamente difeso in ogni evento la famiglia di Nazaret, così ora difenda col suo paterno patrocinio la Chiesa di Cristo.
24. Gesù indica in san Giuseppe il “tipo” del suo discepolo
Il modo umile, ma maturo dimostrato da San Giuseppe di servire e di «partecipare» all’economia della salvezza deve aiutare la Chiesa a ritrovare continuamente la propria identità, che è quella del «religioso ascolto della Parola di Dio» (Dei Verbum, n. 1), ossia dell’assoluta disponibilità a servire fedelmente la volontà salvifica di Dio, rivelata in Gesù.
San Giuseppe è per tutti un singolare maestro nel servire la missione salvifica di Cristo, compito che nella Chiesa spetta a ciascuno e a tutti.
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