San Giuseppe nei Vangeli: La messianicità di Gesù – Il figlio di Davide- Il capo della santa Famiglia
Il matrimonio della Vergine Maria con san Giuseppe, Matias de Arteaga, + 1703
La messianicità di Gesù
H. Wierix, + 1619
La presentazione che l’evangelista Giovanni fa di Gesù è veramente singolare. Da una parte, egli si sofferma sull’esaltazione del Verbo che «era Dio ed era in principio presso Dio. Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto di ciò che fu fatto. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini» (1,1-4); dall’altra parte, egli afferma l’abbassamento dello stesso Verbo, che «si è fatto carne e ha dimorato fra noi» (v. 14), facendosi chiamare «Gesù».
Genealogia di Gesù secondo Matteo – Bibbia di Gutenberg
Alla grandiosa testimonianza di Giovanni il Battezzatore, presentato come l’introduttore di Gesù quale luce vera destinata ad illuminare ogni uomo (vv. 7ss.) e come l’araldo che attesta di Gesù «che è lui il Figlio di Dio» (v. 34), l’evangelista aggiunge e quasi contrappone, integrando la descrizione teologica con quella storica, l’umile testimonianza dell’apostolo Filippo, concittadino di Andrea e di Pietro, il quale incontrando Natanaele gli dice: «Colui di cui scrissero Mosè nella Legge e i Profeti, lo abbiamo trovato: Gesù, figlio di Giuseppe, da Nazaret» (1,45).
Abbiamo in queste ultime parole quello che potremmo definire lo stato anagrafico di Gesù, figlio di Dio fatto uomo: paternità e luogo di nascita. Se la fede consentiva al Battezzatore di identificare in Gesù il Figlio di Dio, agli occhi del mondo Gesù era conosciuto semplicemente come «figlio di Giuseppe, da Nazaret».
Basilica di Betlemme. Sui mosaici delle due pareti sono raffigurate le due genealogie di Gesù.
H. Wierix, 1600ca.
Quali reazioni suscitavano nel popolo questa paternità e provenienza? L’evangelista non ce ne fa un mistero. All’affermazione di Gesù: «lo sono il pane vivo disceso dal cielo», i Giudei avevano contrapposto la propria esperienza: «Non è costui Gesù, il figlio di Giuseppe? Di costui noi conosciamo il padre e la madre! Come, dunque, dice che è disceso dal cielo?» (Gv 6,42). Anche a Nazaret i suoi compaesani si meravigliavano delle parole che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Lc 4, 22); «Non e costui il figlio del falegname?» (Mt 13,55). E questo era per loro motivo di scandalo (cf. Mt 13,57).
B.E. Murillo, +1618, Londra
L’impressione che la designazione di Gesù come “Nazareno” sia a volte collegata a un sentimento di disprezzo e di ostilità (cf. Mc1,24; 14,67; Lc 4,34; Mt 26,71; At 22,8; 24,5; 26,9) viene confermata da testi espliciti. «Ora, dalla folla, alcuni che avevano udito le sue parole dissero: “Costui è veramente il Profeta!”. Altri dicevano: “Costui è il Messia!”. Alcuni, invece, dicevano: “Il Messia viene forse dalla Galilea? La Scrittura non ha detto: Dal seme di Davide, e da Betlemme, il villaggio di dove era Davide, viene il Messia?”. Ci fu dunque dissenso tra la folla per causa sua» (Gv 7,40-43). Lo stesso parere e l’identica difficoltà erano condivisi dai farisei, i quali a Nicodemo, che cercava di difendere Gesù, così rispondevano: «Saresti anche tu galileo? Studia, e vedrai che dalla Galilea non esce profeta!» (v. 52). Già Natanaele non aveva saputo nascondere a Filippo il suo giudizio sfavorevole su Nazaret: «Da Nazaret può venire qualcosa di buono?» (1,46). Da queste testimonianze risulta che la provenienza di Gesù da Nazaret, «dove era stato allevato» (Lc 4,16), aveva oscurato, nella mentalità della folla, il suo vero luogo di origine, Betlemme, e la sua legittima discendenza davidica.
Il Muto di Toleto (P. Ivaldi, + 1885), Santuario della Madonnina, Acqui
Con la sua meticolosità di storico, Luca informa i destinatari del suo evangelo circa l’annunciazione avvenuta a Nazaret, l’occasione del trasferimento della santa Famiglia a Betlemme, dove appunto nasce il bambino, e il ritorno a Nazaret, risolvendo così il problema delle diverse località. Indulge, inoltre, nella descrizione del concepimento miracoloso di Gesù, sicuro dell’interesse e del gradimento dei suoi lettori. Matteo, invece, considera il problema della località come scontato, inserendolo nel colloquio dei Magi con Erode (Mt 2,2-7), e presenta direttamente Gesù come «nato in Betlemme di Giudea» (v. 1). Nazaret viene nominata solo dopo il ritorno dall’Egitto. Superata in tale modo la difficoltà della provenienza di Gesù, Matteo, scrivendo per i giudeo-cristiani, si dimostra più preoccupato per il problema della messianicità di Gesù, compromessa, anziché agevolata, dal fatto del concepimento verginale del Messia, difficilmente conciliabile, per i suoi lettori, con la discendenza davidica. Infatti, se la circostanza del concepimento verginale, da una parte esalta la trascendenza di Gesù, dall’altra, escludendo la cooperazione del seme di Davide, non garantisce il diritto di Gesù alle promesse davidiche.
L. Filocamo (+1988), Piccole Suore della Sacra Famiglia, Castelletto di Brenzone (VR)
Matteo sottolinea, allora, come fu Dio stesso a provvedere alla legittimità della discendenza davidica di Gesù, in quanto espressamente, per mezzo di un angelo, volle assegnarne la paternità al «figlio di Davide» Giuseppe (1,18-25). Non è stato un uomo, anche se figlio di Davide, a inserire nella famiglia di Davide Gesù concepito verginalmente, ma Dio stesso.
Con l’esplicita affermazione dell’iniziativa divina, Matteo garantisce contemporaneamente sul piano storico il ruolo proprio di Giuseppe, che è quello di avere costituito Gesù figlio di Davide, assicurandogliene legalmente la discendenza. Tale discendenza era un segno del Messia, più rilevante, almeno agli occhi dei Giudei, del concepimento verginale; d’altra parte, che Maria derivasse o no dalla casa di Davide (cf. Lc 1, 5.36) non importava nulla per la discendenza di Gesù.
Giuseppe non fu, dunque, una figura secondaria nel grande avvenimento della nascita del Salvatore, ma vi ebbe una parte vera, positiva e importante, inferiore solo a quella di Maria.
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Epigrafe con il nome “Nazaret” in lettere ebraiche
Il figlio di Davide
Bernardo Bitti, + 1610, Cusco
Gli evangelisti Matteo e Luca concordano nel presentare san Giuseppe come discendente della stirpe di Davide (Mt1,1-16.20; Lc 1,27; 2, 4; 3, 23-31); divergono invece, nella genealogia, seguendo ciascuno una serie di antenati diversa, che in Matteo raggiunge Giuseppe attraverso Giacobbe (1,16), in Luca attraverso Eli (3, 23). Sappiamo, inoltre, da Egesippo che Giuseppe aveva un fratello di nome Cleofa (Eusebio, Hist. Eccl. 3,11: PG 20, 248; cf. Gv 19,25).
Nazaret è il paese dove Luca (1,26) ci presenta Giuseppe sposato a una Vergine di nome Maria, la quale “adombrata” dallo Spirito Santo concepisce Gesù (cf. vv. 27-35). A motivo di un editto di Cesare Augusto, che prescrive un censimento, la famiglia si reca al luogo di origine, Betlemme, dove nasce Gesù (Lc 2, 1-7).
“La Glikophilousa”, Piccolo Eremo delle Querce
Mentre Luca racconta il concepimento e la nascita di Gesù evidenziando la verginità di Maria, Matteo, invece, che scrive per gli Ebrei, sottolinea la messianicità di Gesù, figlio di Davide. A tale scopo egli inizia il suo Vangelo con le parole: “Libro dell’origine di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo” (v. 1) e mostra che Gesù risulta figlio di Davide tramite “Giuseppe, sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, detto Cristo” (v. 16). Di tale discendenza legale, affermata dalla genealogia, Matteo narra poi la realizzazione: “Ora di Gesù Cristo tale fu l’origine” (v. 18), richiamandosi così al v. 1). L’intento di Matteo di provare la paternità legale di Giuseppe prosegue nel racconto dei vv. 18-25, dove, ferma restando la sua esclusione dal concepimento di Gesù (vv. 18-25), a Giuseppe viene rivelato per mezzo del messaggio dell’angelo quale deve essere il suo ufficio. Dopo che Matteo, infatti, aveva affermato senza ambiguità che Maria “fu trovata madre per opera dello Spirito Santo”, al lettore israelita, che non aveva difficoltà ad ammettere il miracolo (gli basterà come prova la citazione di Is 7,14 del v. 23), si presentava, invece , sul piano giuridico, la grave questione dell’eredità al trono di Davide da parte del bambino, concepito, appunto, in modo verginale. Tale difficoltà viene da Matteo riflessa nella duplice perplessità di Giuseppe:
– può ancora tenere per sé Maria, sempre legalmente sua sposa, ma divenuta ora possesso di Dio?;
– gli è consentito dare il nome al Bambino, concepito sì da Maria, mentre era sua, ma per opera dello Spirito Santo? (cf. S. Tommaso, Summa Teologiae, Suppl., q. 62, a. 3, ad 2).
G.B.Piranesi, + 1778, S. Giuseppe “nutritor”, Roma
Per mezzo di un angelo, Dio gli comanda nel sonno di tenere con sé la sposa Maria e di dare il nome al Bambino (vv. 20s.). Anche se il concepimento è opera dello Spirito Santo, Giuseppe ha un importante ufficio da compiere, ben evidenziato da Giovanni Paolo II: “San Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità (RC, n. 8). E’ perché deve fare da padre al Bambino che egli, “figlio di Davide”, terrà con sé, nonostante il concepimento verginale, la madre di Dio. Gesù è “figlio di Davide”, perché lo è Giuseppe.
GENEALOGIA DI GESU CRISTO FIGLIO DI DAVIDE FIGLIO DI ABRAMO
F. Verri, Santuario di S. Giuseppe, Asti
All’ottavo giorno dalla nascita del bambino, il mohelcompì su di lui il rito della circoncisione e gli fu imposto il nome di Gesù. Mentre nel racconto dell’annunciazione Luca attribuisce alla madre l’incarico di imporre al bambino il nome: “Concepirai e darai alla luce un figlio e lo chiameraiGesù” (Lc 1,31), al momento dell’imposizione del nome egli usa una forma impersonale: “fu chiamato Gesù, come l’angelo aveva detto di chiamarlo” (Lc 2,21). Matteo, invece, dice chiaramente che fu Giuseppe a chiamarlo Gesù (Mt1,25; cf. v.21). Si tratta dell’esercizio dell’autorità paterna.
Dopo quaranta giorni dalla nascita, Giuseppe accompagna Maria e Gesù a Gerusalemme. Presentato Gesù al Tempio, nel quadro legale della purificazione di Maria e del riscatto del primogenito, Giuseppe ascolta meravigliato ciò che Simeone dice di Gesù e ne riceve la benedizione (Lc 2,22-38).
Fa parte dei racconti di Matteo la visita che i Magi fecero in Betlemme a Gesù e il loro mancato ritorno da Erode con il risultato di fomentarne i sospetti e l’ira e di costringere la santa Famiglia alla fuga verso l’Egitto (Mt 2,1-15).
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Bernardino Luini, Presentazione al tempio (1525), Saronno, Varese
Il capo della santa Famiglia
N. Poussin (+ 1665), Cleveland, Ohio, USA
Matteo che aveva risolto, con il racconto del dubbio di Giuseppe, la difficoltà della sua paternità sul piano giuridico, riconoscendo a questo “figlio di Davide” la potestà su Maria e suo figlio, ce lo mostra ora nell’esercizio dei suoi diritti e delle sue funzioni di capo della santa Famiglia. E’ a lui che l’angelo appare; è a lui che l’angelo parla; è a lui che viene comunicata la destinazione; è a lui che sarà rivelata la data del rimpatrio. Giuseppe è il capo incontrastato della sua casa, nella quale tutto gli è soggetto: “Prendi il bambino e sua madre” (Mt 2,13.20s.).
P. Gagliardi (+1890), Basilica di S. Eustachio (Roma)
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La permanenza della santa Famiglia in Egitto durò fino alla morte di Erode (Mt 2, 19ss.), che avvenne l’anno 750 di Roma, quattro anni prima dell’era volgare. Ad Erode il Grande successero i tre figli: Archelao, Antipa e Filippo. Ad Archelao, che aveva assunto il titolo di etnarca, era toccata la Samaria, la Giudea e l’Idumea. Il suo carattere crudele e vendicativo e l’avveramento di una profezia sono i motivi addotti da Matteo (2,22s.) per la scelta che Giuseppe fece, quale dimora della santa Famiglia, di Nazaret in Galilea, governata dal tetrarca Erode Antipa, località designata, invece, da Luca semplicemente come “suo paese” (2, 39). Sappiamo, inoltre, da Luca che Giuseppe era solito recarsi con la famiglia ogni anno
F. Verri, Presentazione di Gesù nel Tempio, Meeting Point “Redemptoris Custos”, Asti
a Gerusalemme per la Pasqua (2,41) e che, appunto in tale circostanza, Gesù dodicenne rimase, all’insaputa dei suoi “genitori”, in città, causando loro una grande sofferenza nell’affannosa ricerca durata tre giorni (vv. 42-50). E’ ancora Luca a designare tutta la vita di Gesù a Nazaret con l’espressione “stava sottomesso” (v. 51), in riferimento a coloro che l’evangelista aveva indicati come suo padre e sua madre (v.48).
La qualifica che riceve il lavoro di Giuseppe è quella di “técton” (Mt 13,55; Mc 6,3), espressione tradotta dalla Volgata con “faber”. La genericità del termine consente di estenderlo a molteplici attività manuali. Gli apocrifi descrivono Giuseppe come artigiano di aratri e gioghi, mestiere che Giustino (Dial. 88,18: PG 6, 688) attribuisce anche a Gesù. Per la stessa attività esercitata sul legno (falegname, carpentiere) stanno le interpretazioni delle versioni siriaca, gotica, copta ed etiopica. Il Vangelo non ci informa di più su san Giuseppe.
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BIBLIOGRAFIA: T. STRAMARE, Vangelo dei Misteri della Vita Nascosta di Gesù (Matteo e Luca I-II), Casa Editrice Sardini, Bornato in Franciacorta (BS) 1998. Il testo non è di facile lettura, ma indispensabile per evitare la “polverizzazione” storica dei primi due capitoli di Matteo e di Luca, operata da una diffusa maldestra interpretazione, già latente nel titolo “Vangeli dell’infanzia”, espressione da tutti ritenuta come forzata e poco adeguata, ma pur conservata. Questo studio segue una linea completamente nuova, conforme ai tre elementi della divina Rivelazione richiesti dalla Costituzione “Dei Verbum” (n.2).
Rodolfo Papa, La Santa Famiglia
Si tratta, in definitiva, di applicare alla lettura dei libri sacri, interpretati come “storia della salvezza“, la “Teologia del Mistero”, lo stesso “password” dell’Esortazione apostolica “Redemptoris Custos”, di Giovanni Paolo II. Vino nuovo in otri nuovi!
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F. Verri, Santuario del Caravaggio, S. Vito di Valdobbiadene (TV)